l termine “maccu” indica una “vivanda grossa di fave sgusciate", cotte in acqua e ridotte in pasta.
La fava e diffusa in ogni parte dell'isola poiché costituisce cultura alternativa al frumento, si semina cioè nei campi di grano l'anno in cui i terreni vengono lasciate riposare per arricchire la terra di azoto. “U Maccu” è una delle più famose minestre contadine. Significato analogo all’italiano macco, successivamente e genericamente esteso a “minestra stracotta” e “poltiglia”.
La zuppa o polenta di fave bollite è un cibo antico. Viene collegata alla “plus fabata” ricordata da Plinio come pietanza sacra.
In Sicilia la coltivazione della fava (vicia faba) è di antichissima tradizione. Al contrario dei Romani che consumavano le fave soltanto in occasione di riti funebri, i Siciliani hanno da sempre fatto largo uso di fave nella loro dieta, sia secche sia allo stato verde.
I Romani ne facevano grande uso, tanto è vero che una delle “gentes”, le famiglie più importanti nella storia di Roma, i Fabi, prendevano nome dalla fava (faba). Per Pitagora le fave erano: “cibo dei morti”, mezzo per contattare l’aldilà. Il macco è stato tradizionalmente un cibo di poveri: fave secche lasciate per una notte intera dentro una pentola in acqua poco salata e, dopo averle fatte cuocere, ammaccate con una forchetta in modo da ridurle a purea. Si aggiungeva appena un filo d’olio e si mangiava.
Nelle frequenti condizioni di miseria cui erano sottoposte le classi popolari, il macco costituiva a volte il piatto unico di tante famiglie per mattina e sera. Fino ad alcuni decenni addietro ai braccianti agricoli i padroni ne davano una scodella come pasto principale della giornata e solo eccezionalmente, ad esempio durante la trebbiatura, si dava da mangiare la pasta.
“U maccu” è un profumato e delicato velouté di fave cotte in umido, molto diffuso tra gli isolani e che si è tramandato fino ai giorni nostri, la purea che ne deriva viene aromatizzata con semi di finocchietto selvatico ed insaporita con olio extravergine d’oliva.
Il maccu è un piatto ritenuto adatto alla gente forte. Se volete servire un primo piatto tradizionale, preparate il sicilianissimo “ Maccu", ma pensateci in tempo perché le fave secche e decorticate bisogna che stiano a bagno nell’acqua prima di essere cotte, almeno dodici ore . Ricordatevi che la cottura in pentola di coccio risulta la migliore perché le fave devono cuocere a fuoco lento per almeno tre- quattro ore.
Tutta l’isola ha le sue varianti. caratteristico è quello di Raffadali, non a caso questa cittadina è anche chiamata “u paisi du maccu” , dove si è conservato come alimento tradizionale e dove ancora oggi se ne fa largo uso.
Con il tempo il maccu ha perso le caratteristiche di pietanza legata a momenti particolari ed è divenuto, assieme ad altri tipi di minestre, un ottimo “piatto unico” per le classi più povere e uno stuzzicante primo per quelle più abbienti. Nel sec. XV esisteva per la sua preparazione uno speciale recipiente “ad opus mirandi maccum”.
Una caratteristica peculiare del maccu è dovuta al fatto che, una volta raffreddato, si può conservare ricoperto con un velo d’olio per essere consumato in un secondo tempo tagliato a fette. La purea raffreddata può anche essere consumata fritta in olio extravergine di oliva.
A proposito della conservazione del macco in olio è ancora in uso il detto “livari l’ogliu du maccu” (togliere l’olio dal macco), azione che sta ad indicare una particolare abilità nelle attività manuali. Viene preparata a Siracusa non con le fave secche ma con quelle verdi, fresche, in occasione della festa di San Giuseppe e perciò nel siracusano e anche in provincia di Ragusa è detta minestra di San Giuseppe.
Il maccu di fave può essere arricchito oltre che con” u finuccheddu sarvaggiu” (https://www.emporiosicilia.it/prodotto/crema-di-finocchietto-selvatico-i-peccatucci-di-mamma-andrea/), anche con “a cocuzza baffa”, ”i giriteddi servaggi” e qualche volta anche con gli spinaci. Si possono aggiungere anche pezzeti di pomodoro salato e pepe.
Perché “ u maccu” sia un piatto completo bisogna aggiungere la pasta che può, essere “ spaettu tagghiatu”, “pasta maritata”, o meglio ancora “ tagghiarini di pasta frisca“ (https://www.emporiosicilia.it/prodotto/spaghetti-siciliani-di-perciasacchi-caradonna/)
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